Come abbiamo visto, la tradizione alimentare romana poggiava prevalentemente sull’uso di cereali, legumi, verdure, frutta, olio e vino. Tuttavia, l’alimentazione dei popoli germanici che invasero l’Italia, dominandola per la maggior parte del basso Medioevo (fino al X secolo), prevedeva uno scarso apporto di alimenti di origine vegetale, privilegiando il consumo di carne. Fu con l’affermarsi del Cristianesimo e del fenomeno monastico che gli usi alimentari mediterranei conobbero nuova auge, grazie a un rinnovato interesse per l’agricoltura. Ciò determinò infatti il diffondersi di una dieta che riproponeva gli alimenti di origine vegetale, tipici dell’età romana, abbinati al consumo di carne, ormai abituale per le classi dirigenti e di rango elevato, e non più considerato sintomo di scarsa raffinatezza. D’altra parte, per l’aristocrazia germanica del nord Europa l’introduzione nella dieta del pane bianco e del vino rappresentava un elemento di prestigio e un segno di progresso culturale.
Alimenti di origine vegetale Tra gli alimenti d’origine vegetale il primo posto continuò a essere detenuto dai cereali del tipo grano: farro, segale, frumento, miglio, avena e orzo. Molto diffusa era la segalata, costituita da una miscela di segale e frumento, ma molto apprezzato era anche il grano saraceno o grano nero. Da essi si ricavavano le farine con le quali si producevano pastoni, gallette e pane. Il pane era molto simile a quello moderno: veniva confezionato con il lievito di birra e poteva essere da mangiare, o fungere da tagliere, cioè utilizzato come piatto.
Alimenti importanti erano anche i legumi secchi (lenticchie, fave, piselli), ma anche nocciole, castagne e funghi, perché fornivano una buona dose di lipidi e proteine.
Tra le verdure ricordiamo: porri, carote, cardi, rape, cicoria, cavoli, lattughe, crescione, asparagi, prezzemolo, cipolle e scalogno. All’epoca di Carlo Magno (IX sec.) si coltivavano anche: ruta, tanaceto, levistico, salvia, santoreggia e betonica. Le classi più agiate innalzavano il tono della propria tavola grazie al consumo di frutta esotica, in particolar modo datteri e pistacchi, e salse piccanti a base di pepe, zenzero, cannella, noce moscata, chiodi di garofano e zafferano europeo, tra cui ricordiamo quello proveniente dall’Aragona. I meno ricchi usavano mostarda e aglio. Gli olii erano quelli di colza, di papavero, di lino, d’oliva.
Modesta era la quantità di frutta coltivata, a parte le mele che rappresentavano il frutto per antonomasia (il suo nome in francese è pomme, dal latino pomum, che indicava il frutto in genere). Comunque v’erano anche cotogne, more, pere e pesche. I frutti forniti dalla foresta erano preponderanti e tra questi spiccavano: sorbe, nespole, prunelle, fragole, ribes e lamponi.
Se l’Italia del Nord guarda all’Europa, la Sicilia risente dell’influenza dell’invasione araba che si manifesta nel connubio dolce e salato, nel trionfo della pasticceria elaborata, nell’uso della pasta di mandorla colorata e modellata a forma di frutta e fiori
Alimenti di origine animale Le carni più diffuse erano di origine domestica: pollame, maiale, pecora. Oppure selvatica: cinghiale, airone, alza-vola, lepre e coniglio. In generale, le autentiche leccornie dei signori feudali erano montoni e cacciagione, in particolare: cinghiali, pernici, fagiani, daini e cervi. I ceti cavaliereschi, di gusti grevi, prediligevano queste carni semplicemente arrostite. Solo a partire dal XIII secolo le preferenze culinarie divennero più raffinate spingendo i cuochi a elaborare preparazioni complesse, caratterizzate dalla combinazione di sapori forti e dolci. Attraverso la combinazione d’ingredienti esotici, che giungevano in Europa dai paesi orientali, si apprestavano salse particolarmente speziate che rappresentavano, per chi se le potesse permettere, un vero status symbol. Il pesce divenne vieppiù indispensabile grazie ai precetti religiosi, molto rispettati. Durante la Quaresima o in altri periodi di digiuno esso rappresentava una buona base per un’alimentazione di “magro”. Tra i più diffusi troviamo i pesci di mare come il merluzzo, l’aringa, il nasello, o d’acqua dolce, come la tinca, la trota e il salmone. Tuttavia per lungo tempo i pesci rimasero un alimento alla portata dei più ricchi; solo verso la fine del Medioevo, le aringhe essiccate o salate divennero un cibo comune e alla portata di tutti.
Anche le uova furono un alimento diffuso e apprezzato, consumato soprattutto all’infuori della Quaresima, tanto da segnarne la conclusione con la diffusione delle “uova di Pasqua”, che solo in epoca recente divennero di cioccolata.
Bevande La bevanda più importante era l’acqua, spesso difficile da trovare nelle città che erano alimentate non solo dagli acquedotti, ma anche dai cosiddetti “portatori d’acqua”. In alcuni manuali è stata addirittura rinvenuta una classificazione delle acque: la migliore era considerata quella minerale, seguita da quella piovana, di fiume, di sorgente, di pozzo e, infine, di stagno. Era inoltre risaputo come l’acqua, bollita, si alterasse meno rapidamente. L’acqua non era bevuta solo “liscia”, ma anche miscelata con liquirizia, miele e vino, sorta di antenati delle moderne bevande non alcoliche.
Tra le bevande alcoliche erano molto diffuse il sidro di pere, di ciliegie, di prugnole, di mele, ma soprattutto la birra e la cervogia ottenuti dagli stessi cereali fermentati già dalle antiche civiltà indo-europee e aromatizzare con il luppolo a partire dal IX secolo. Il vino, generalmente scadente e di difficile conservazione, era tuttavia molto consumato. La sua ampia diffusione era favorita anche dall’aspetto simbolico che rivestiva nel mondo cristiano essendo, insieme al pane, l’elemento costituente del sacramento dell’eucarestia.
Franco Tacconelli